Cuncordu de Cuglieri
ANCHE CUGLIERI RICOSTRUISCE LA SUA MASCHERA
Di Dolores Turchi (Sardegna Mediterranea n. 25 – aprile 2009)


Nel libro “Deus ti salvet Maria”(1) era stata pubblicata la poesia riguardante il mascheramento che per la festa di S.Antonio Abate si faceva a Cuglieri; ma solo ora il Gruppo “Su Cuncordu” ha deciso di ricostruire la maschera di questo paese nel modo in cui doveva presentarsi nel 1700, secondo la descrizione che ne fa il gesuita–poeta Bonaventura Licheri.
Questa maschera si discosta alquanto nell’abbigliamento dalle altre finora descritte e la sua interpretazione presenta non poche difficoltà. È assai probabile che la massiccia presenza della chiesa in quella località abbia influito non poco nella sua trasformazione. Quella degli altri paesi risultano infatti cariche di ossi animali, elemento indispensabile per rappresentare in modo visibile il ciclo di morte e rinascita. Le maschere di Cuglieri sembrano invece prive di ossi. Il Licheri parla di conchiglie (da cui il nome Cotzulados), ma non precisa se con queste avessero anche ossi sulle spalle.
In ogni caso, poiché le conchiglie sono accertate, i componenti del gruppo “Su Cuncordu” hanno preferito servirsi solo di valve per produrre il suono apotropaico essenziale al rito. D’altra parte sappiamo che dopo la predicazione del Vassallo e le minacce di scomunica, molti paesi cominciarono a mutare il macabro travestimento sostituendolo con “sas mascaras nettas”, che tuttavia continuarono a mantenere capi di abbigliamento dove era evidente il concetto di morte e rinascita. I paesi che non vollero liberarsi totalmente del carico di ossi, preferirono sostituirlo con i campanacci entro i quali l’osso, non più totalmente visibile, fungeva da batacchio.
Per quanto riguarda Cuglieri il Licheri scrive:

Cotzulados Brincant a lugh’e fogu / sos Cotzulados, / de peddes tramudados / de igu e de murone, / de craba e de murone / biancos che lizos. / Cun d’unu corru in chizos / presu a pedde crua / e sa garriga sua / denant’e a pala. / Bessint dae dogn’ala / cun cotzulas ligadas, / andant a iscutuladas / a mod’issoro. / Terra chi paret oro / giughene pro caratza, / parent atera ratza / in custu ballu. / Tue, frade Vassallu, / cun boghe addasiada / e cun sa manu alzada / das sa sentenzia.(2)

Non è da escludere che un tempo anche sos Cotzulados avessero il volto tinto di nero, segno di lutto per la morte di Dioniso Mainales, il dio della vegetazione che ogni anno doveva morire e rinascere, il nome del quale in Sardegna si è corrotto in Maimone, sempre mantenendo la prerogativa di divinità pluviale. Anche il volto tinto con ocra gialla (terra chi paret oro) potrebbe far parte di un rimaneggiamento, in quanto il colore giallo era ritenuto in tante civiltà, compresa la Sardegna, un segno di lutto che si è portato in molti nostri paesi fino ai primi decenni dell’Ottocento. C’è da aggiungere che, essendo il giallo il colore dell’oro, spesso gli dei venivano rappresentati con questo colore.
Resta il problema dell’unico corno che la maschera portava in fronte. Si sa che anticamente alcune divinità venivano rappresentate con un corno sulla fronte quale simbolo di potenza come si può leggere anche in alcuni testi sacri.(3) Siamo però propensi a credere che il corno che porta la maschera di Cuglieri volesse piuttosto rappresentare la cornucopia, ovvero il corno dell’abbondanza, destinato a portare inesauribili doni agli uomini, essendo sempre pieno di frutti della terra.
Doveva avere la stessa funzione del calathos che portavano sulla testa le divinità agrarie come Demetra e Serapide e doveva propiziare il benessere per la comunità. D’altra parte il rito era agrario così come Dioniso, quale dio della vegetazione, era considerato divinità agraria.
In alcuni paesi come Samugheo, anziché la cornucopia, le maschere portavano su casiddu, il cui significato era identico, perché il termine casiddu non indica un contenitore vuoto, ma pieno dei prodotti della terra. Se vuoto è chiamato semplicemente moju.
Pertanto, visti gli adattamenti subiti dalle maschere nel XVIII e XIX secolo, è da supporre che a Cuglieri si sia adottato il sistema della cornucopia per propiziare fertilità e abbondanza, applicata sulla fronte sia per il suo aspetto di corno, sia per lasciare le mani libere, le quali come tutte le maschere dovevano tenere un bastone sul quale un tempo si intrecciava pervinca o edera, a mò di tirso (su fuste fudi introbigau a proinca, dicono in alcune località).Cotzulados Non poteva mancare la buccina che richiamava, anche da lontano, alla cerimonia.
Questo elemento era molto importante e un tempo dovevano portarlo tante maschere. Da notare inoltre che le conchiglie avevano nell’antichità un significato simbolico molto chiaro: erano considerate simboli sessuali strettamente unite al concetto di procreazione e fertilità.(4) Concetto comune a molte culture. Quale simbolo sessuale che auspica la rinascita dopo la mote si trovano in molte tombe. Per la Sardegna basta ricordare la tomba 387, scavata da V.Santoni a Cuccuru S’Arriu, presso Cabras.(5) I molluschi erano inoltre un alimento molto usato non solo dalle popolazioni rivierasche come normale nutrimento, ma anche da quelle dell’interno in particolari cerimonie sacre, tant’è che molti scavi archeologici hanno restituito enormi cumuli di rifiuti di conchiglie. Il paese di Cuglieri non è distante dal mare e certamente di molluschi doveva fare molto uso nell’antichità, così come doveva conoscere bene il simbolismo sessuale. Pertanto non appare inverosimile che gli abitanti, se furono costretti a trasformare un abbigliamento troppo macabro, abbiano preferito caricarsi di conchiglie piuttosto che di campanacci. Purtroppo questo non viene spiegato dal Licheri e pertanto restiamo nel dubbio. Appare però evidente il simbolismo di morte e rinascita e il concetto di fertilità che caratterizza queste maschere, come tutte le altre finora esaminate.
La poesia del Licheri è datata 1773. Evidentemente fu scritta sulla scia dei ricordi della evangelizzazione che qualche decennio prima il gesuita–poeta faceva insieme al Vassallo. L’anno 1773 la Compagnia di Gesù fu sciolta dal papa Clemente XIV e il Vassallo, ormai vecchio, si era ritirato a Cagliari mentre il Licheri con tutta probabilità era tornato allo stato laico. Ma l’affetto filiale e l’ammirazione per il suo maestro, che aveva accompagnato in tante peregrinazioni, non venne mai meno, come si può evincere dai componimenti che scrisse successivamente.




1) “Deus ti salvet Maria”, a cura di E.CANU, S’alvure, Oristano 2005. Il libro contiene numerose poesie di Bonaventura Licheri rinvenute da Nicola Loi nell’archivio del sacerdote Raimondo Bonu.
2) Traduzione: Al bagliore delle fiamme saltano “sos Cotzulados”. Sono travestiti con pelli di vitello e di muflone, di capra e di volpe, bianchi come gigli. Hanno un corno in fronte tenuto con pelle cruda e un carico sul petto e sulle spalle. Sbucano da ogni parte con conchiglie legate e scuotono il corpo secondo il loro costume. Come maschera hanno sul volto terra gialla. Sembrano appartenere, con la loro danza, a una razza diversa. Tu, fratel Vassallo, sollevando la mano con voce pacata dai la sentenza.
3) In I Samuele, 2:10 si legge: “L’Eterno… farà grande la potenza (il corno nella versione ebraica) del suo Unto”. In Luca 1:69 sta scritto: “Ci ha suscitato un potente Salvatore (un corno di salvezza nella versione greca)”. il corno dà l’idea di “potenza vittoriosa”.
4) Cfr. Enciclopedia dei simboli, Garzanti, Milano 1991.
5) Cfr. V.SANTONI, Il mondo del sacro in età neolitica, in “Le Scienze-Scientific American”, ediz. Italiana, n. 170, 1982.

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